Laura Carrer

Esperta FOIA per Transparency International Italia

Il FOIA non è un diritto di serie B

Il periodo storico che stiamo vivendo a causa dell’emergenza sanitaria Covid-19 ha avuto importanti ripercussioni in ogni aspetto della nostra vita quotidiana.

tempo di lettura: 3 min
Pubblica amministrazione

Alla fine di febbraio il paese è stato chiuso e le misure di lockdown hanno portato ad un blocco totale della produzione, ma anche della macchina amministrativa. Numerosi diritti sono stati sospesi in virtù della necessità di salvaguardarne uno in particolare, quello della salute. Lungi da me voler intendere che la salute non fosse e non sia tuttora centrale nella vita di ognuno di noi, vorrei sottolineare come sia mancato un bilanciamento fra diritti essenziali e decisivi come il diritto all’informazione, alla conoscenza e al controllo dell’operato della pubblica amministrazione, così come quello della privacy, rispetto al diritto alla salute. Non è infatti attraverso la compressione di uno o più diritti che se ne garantiscono altri, e non possiamo concepire l’esistenza di diritti di serie A o serie B.

Durante il lockdown, attraverso il progetto FOIA4journalists, ho comunque continuato a supportare i giornalisti intenzionati ad inoltrare istanze di accesso agli atti per motivi “indifferibili e urgenti” così come chiarito dal Decreto Cura Italia, che aveva di fatto sospeso un diritto internazionalmente riconosciuto sin dalla fine di febbraio. È stato di enorme importanza farlo per temi come quello del contact tracing, per cui un giornalista ha richiesto informazioni di interesse pubblico e nuovo per il Paese; oppure per temi come la sanità, richiedendo dati per provincia o comune relativi alla pandemia da coronavirus; e sul numero delle denunce di violenza domestica e coniugale in mano alle forze dell’ordine. Tutte istanze motivate dalla gravità e dall’urgenza che durante il lockdown hanno però subìto sorti differenti: alcuni enti hanno comunque risposto alle istanze di accesso, altri ci hanno informati di essere oberati di lavoro a causa dell’emergenza. Ma se è proprio in momenti come questi in cui la trasparenza del governo dovrebbe essere maggiore, la sospensione temporanea di un diritto come questo ha riportato a galla alcuni dei problemi fondamentali che affliggono la Pubblica Amministrazione italiana:

  • La mancata digitalizzazione: non è accettabile che, dopo 7 anni dal decreto Trasparenza e dalla riforma della PA iniziata dal Governo Renzi, vi siano ancora problemi strutturali che ostacolano l’alleggerimento della macchina amministrativa;
  • La difficoltà nell’intraprendere scelte proattive: ad esempio, le amministrazioni potevano (durante il lockdown) e possono decidere di investire maggiormente nella pubblicazione di dati o informazioni prima che i cittadini li richiedano, proprio perché riconoscono la loro importanza in quel momento. Una scelta che, sebbene in altri paesi è possibile considerare la norma, per l’Italia sarebbe un passo importante per una rinnovata maturità nei confronti del cittadino;
  • La poco chiara e trascurata comunicazione nel momento in cui si è sospeso – ricordiamolo – un diritto fondamentale del cittadino riconosciuto a livello internazionale. Problematica questa che, di nuovo, trova spazio e interpretazione nel mancato riconoscimento del diritto di accesso alle informazioni come un diritto, e non come un mero strumento. Proprio questa interpretazione, forse, fornisce ad alcune PA la motivazione necessaria per fare scelte a cuor leggero.

Nonostante ciò, la nostra attività ripaga il lavoro ostinato delle associazioni e delle persone che da ormai quattro anni credono e spingono l’utilizzo del diritto di accesso alle informazioni anche in Italia. Il 9 giugno è uscita su Wired Italia un’inchiesta cofirmata insieme a Philip Di Salvo e Riccardo Coluccini e totalmente creata con questo diritto-strumento, a testimonianza del fatto che è possibile ricostruire l’operato delle amministrazioni e controllarlo indossando i panni di watchdog nei confronti dello Stato. Non è l’unico contributo degli ultimi anni, ma ne sono particolarmente orgogliosa perché, pubblicata poi anche dal giornale locale La Provincia di Como, ha portato alla presentazione di un’interrogazione parlamentare sul tema del riconoscimento facciale e del trattamento dei dati biometrici dei cittadini. Spero possa vivamente essere stimolo per molti cittadini, attivisti e giornalisti e aumentare la partecipazione attiva nella nostra società.

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