Giorgio Fraschini

Esperto di whistleblowing di Transparency International Italia

Una voce per la tutela della salute pubblica: la storia di Francesco Zambon dell'OMS

Francesco Zambon era a capo dei ricercatori dell’Organizzazione Mondiale della Sanità che scrissero un rapporto sulla gestione della prima ondata della pandemia da parte del governo italiano. Zambon si è dimesso a causa del clima insostenibile creatosi attorno a lui sul luogo di lavoro in seguito alla pubblicazione del rapporto.

25 marzo 2021 / tempo di lettura: 4 min
Sanità
Whistleblowing

Il rapporto, pubblicato a maggio 2020 sul sito dell’OMS e ritirato dopo meno di 24 ore (il rapporto, di 102 pagine, è tuttora visibile alla pagina web.archive.org), sosteneva tra le altre cose che il piano pandemico italiano più recente risalisse al 2006 e fosse stato copiato senza modifiche ogni anno, fino all’ultima versione del 2017. Secondo lo studio, l’assenza di un piano aggiornato fu uno dei fattori che contribuì alla situazione caotica nella gestione delle prime fasi della crisi sanitaria in Italia.

Zambon afferma di aver subito pressioni dai vertici dell’OMS per modificare alcune date e possibili errori nel rapporto e che la rimozione dello stesso rapporto avrebbe messo ancora più in pericolo la salute pubblica dei cittadini italiani. In seguito alla pubblicazione, Zambon è stato anche convocato dalla Procura di Bergamo, il cui territorio di competenza è stato uno dei più colpiti nella scorsa primavera.

Zambon non è stato considerato da parte della sua organizzazione un whistleblower. La policy per la protezione dei segnalanti dell’OMS è abbastanza anomala, soprattutto in relazione al mandato dell’organizzazione stessa a tutela della sanità globale. I whistleblower sembrano essere garantiti dai sistemi interni solamente nel caso in cui segnalino illeciti che possano danneggiare l’organizzazione stessa (e non la salute pubblica). La qualifica di whistleblower dovrebbe garantire la tutela della riservatezza ma, nei casi in cui il whistleblower sia già esposto, dovrebbe proteggere da condotte ritorsive, siano esse misure organizzative o meno, e che variano dal licenziamento al demansionamento, al trasferimento all’isolamento e altri comportamenti riconducibili al mobbing.

La risposta delle istituzioni alle segnalazioni, provenienti da whistleblower in merito alla salute pubblica durante questo anno di pandemia, è stata inspiegabile: il caso più famoso è quello del Dottor Li Wenliang, tra i primi medici a Wuhan a segnalare al Comitato per la Sicurezza Pubblica locale l’allarme in seguito ai primi casi di COVID; prima del decesso a causa della malattia stessa, Li venne ammonito per aver fatto pubbliche affermazioni false. È stato riabilitato solo due mesi dopo la sua morte.

Anche negli Stati Uniti sono tante le storie di persone discriminate dopo aver segnalato pericoli per la salute: un medico nello Stato di Washington è stato licenziato per aver raccontato ai media la carenza di dispositivi di protezione individuale; infermieri in tutto il paese hanno subito discriminazioni per aver sollevato preoccupazioni sulle mascherine date in dotazione dagli ospedali.

In un momento storico unico, in cui è opportuno prestare attenzione a coloro che provano a portare alla luce rischi e pericoli per la salute, la scarsa tutela fornita ai whistleblower è sorprendente e frustrante. Il caso di Francesco Zambon è poi emblematico, perché avviene proprio nell’organizzazione internazionale, principale punto di riferimento in questa pandemia. Non aiuta il fatto che le stesse organizzazioni internazionali agiscano in un’area non regolamentata, senza controllori esterni che possano essere destinatari di segnalazioni protette, quando i sistemi interni non siano in grado di garantire tutele adeguate né di sanzionare eventuali discriminazioni contro i whistleblower. Il caso di Emma Reilly, avvocato presso le Nazioni Unite che ha accusato l’organizzazione di aver fornito alle autorità cinesi i nominativi di soggetti partecipanti alle sedute del Consiglio per i Diritti Umani, soggetti dissidenti rispetto al Governo.

Reilly sta affrontando un possibile licenziamento per aver portato alla luce questa pratica, che era ammessa in passato dalle Nazioni Unite stesse.

Il caso di Zambon poi ci pone di fronte a un grave equivoco: cosa ci può essere di più importante della libertà di espressione a tutela della salute pubblica? I principi internazionali sul whistleblowing vietano in modo specifico restrizioni contrattuali che possano limitare la libertà di parola quando c’è un possibile danno alla collettività. Se aggiungiamo il fatto che Zambon ha seguito prioritariamente i canali interni a tutela dell’organizzazione stessa invece che rivolgersi ad esempio ai media, la reazione dell’OMS sembra essere lontanissima dalle migliori pratiche in materia. Ci si chiede se ancora, nel 2021, la segretezza sia più importante della trasparenza quando si parla di interesse pubblico.


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